Alan e suo padre Abdullah lasciano una notte il loro paese, in Siria, dove la guerra sta portando via le scuole, le case, gli alberi; salgono su una barchetta sgangherata e colma d’anime, per arrivare molto lontano. Ma quella notte una grande onda rovescia la barchetta, come fosse di carta: Alan scivola via dalle braccia forti di suo padre, cade giù dentro il mare profondo. Lì diventa fratello delle alghe, dei coralli, dell’anemone colorato: un bambino - pesce, che da quel momento appartiene all’acqua, per sempre. Da quel giorno, Abdullah torna sempre alla stessa ora davanti al mare che ha preso Alan, per portargli i fiori più belli. Prega per il suo bimbo, prega forte: e così un mattino, all’alba, Alan lo sente, ed esce fuori dalle onde per abbracciare il babbo. Solo per pochi minuti però: quando il mare scandisce il suo rintocco, Alan deve tornare indietro. Così il giorno dopo, e poi ancora l’altro; ma ad Abdullah non bastano pochi minuti, non vuole vivere senza il suo bambino. Decide di andare da lui, entrare nel mare; Alan lo prende per mano e lo guida nella sua nuova casa. Lì, ancora una volta, Abdullah potrà restare solo per poco tempo; lui non appartiene al mare, ma alla terra, ed è là, gli sussurra all’orecchio il suo bimbo speciale, che dovrà continuare a vivere ed essere felice.  Raccontare l’indicibile: la storia del piccolo profugo siriano Alan Kurdi, il piccolo profugo siriano annegato a settembre 2015 sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, ha costituito un momento di svolta nella nostra percezione, ormai da tempo “anestetizzata”, della drammatica epopea vissuta negli ultimi anni dai milioni di uomini, donne e bambini fuggiti dai propri paesi (Siria, Iraq, Afghanistan) per approdare in Europa. L’immagine di Alan, potente e ineludibile, è un punto di non ritorno. Lo è stata per Nilufer Demir, la fotoreporter che ha scattato la foto-simbolo (“Ero pietrificata. L’unica cosa che potevo fare era fare in modo che il suo grido fosse sentito da tutti”, ha dichiarato); lo è stata, oltre ogni misura di umana sofferenza, per il padre Abdullah al - Kurdi, che insieme al figlio più piccolo ha visto morire sotto i propri occhi il fratellino Galip e la moglie Rehan. Nel momento stesso in cui quell’immagine si imponeva ai miei occhi e alla mia coscienza, per mezzo di un telegiornale in primissima serata, una domanda iniziava ad assillarmi: come raccontare tutto ciò a dei bambini, magari poco più grandi di quello annegato sulla costa di Bodrum? Come spiegare l’assurdo spezzarsi di una vita così acerba? Come dire l’indicibile?  Credo sia profondamente necessario trovare un modo di raccontar loro l’odissea, spesso dagli esiti drammatici, dei loro coetanei costretti alla fuga dai propri paesi di appartenenza. Ecco perché, nonostante la dolorosa vicinanza temporale con quanto è accaduto, vorrei provare a raccontare in teatro la storia di Alan. Un racconto teatrale che mi piacerebbe condurre attraverso due punti di vista : quello di Abdullah al  Kurdi, il padre del bambino, e quello, immaginato, proiettato in un domani che non è stato, di Alan stesso. Modalità di realizzazione: parole, racconto, immagini. Impossibile prescindere, per raccontare una storia così drammaticamente recente, dalle testimonianze reali dei suoi protagonisti. I racconti di Abdullah Kurdi e Nilufer Demir costituiranno una preziosa risorsa, insieme ad un’ulteriore quantità di altri, incredibili racconti di giovanissimi profughi sopravvissuti, a differenza di Alan, alle proprie personali odissee, o dei loro familiari. La veridicità della narrazione risulta imprescindibile in un lavoro che, come questo, vuole anche essere un tributo alla storia di persone realmente esistite. Ma il teatro ha delle possibilità in più rispetto a quelle, più “cronachistiche”, del cinema e della televisione; sono quelle del sogno, della trasfigurazione, che rendono possibile amplificare la vicenda di uno e farla diventare quella di molti. Se la storia di Alan rimanesse solo sua, raccontarla sarebbe inutile. Ecco quindi che alle parole, alla vita narrata, si aggiungeranno le immagini, e la vita, appunto, “immaginata”. Penso all’uso di proiezioni realizzate in videomapping per dare vita a ciò che la parola non può dire: i sogni, le aspettative, i desideri, l’immaginazione dei piccoli profughi come Alan Kurdi. La videoproiezione darà vita, innanzitutto, al luogo da cui la voce e la presenza di Alan giungeranno: una sorta di Atlantide  , un piccolo Eden subacqueo tra le cui spume, sabbie, coralli la piccola esistenza del bambino è rimasta impigliata. Allo spettatore, giovane o adulto, spetterà il compito di raccogliere la sua esistenza, reale ma soprattutto immaginata, “sperata”, come porgendo l’orecchio ad una conchiglia per sentire, in qualsiasi luogo ci si trovi, il lontano rumore del mare. (note a cura di Giuliano Scarpinato).

età consigliata: dagli 8  anni
Tecnica: teatro d'attore
Durata: 60 minuti + 20 min. di incontro con la compagnia