Sono passati quasi 50 anni, sono tanti. Stupisce e rincuora il fatto che Gaber sia riuscito ad anticipare i tempi, a scrivere la storia prim’ancora che questa fosse presente: terribilmente d’attualità; del resto lui era capace di raccontare la realtà come pochi al mondo, ma, allo stesso tempo, di andare oltre. In Far finta di essere sani tutto questo è ancora più evidente, seguendo il filo rosso di canzoni e monologhi dalla tematica certa e forte e ci piace molto l’idea e la possibilità di raccontarlo oggi.

L’ironia si fa più dominante e a volte anche un po’ più aggressiva. Il tema che già trapelava negli spettacoli precedenti è quasi esclusivamente quello dell’“interezza”.
Pare che l’uomo attraversi una fase un po’ schizoide dove a volte il proprio corpo è assai distante da certi slanci ideali. L’analisi, anche se alleggerita dall’ironia, può sembrare pessimistica ma suggerisce la possibilità di abbracciare le più grosse realtà sociali partendo da sé stessi.

Gaber/Luporini sottolinea una certa incapacità di far convergere gli ideali con il vivere quotidiano, il personale con il politico. Il “signor G” vive, nello stesso momento, la voglia di essere una cosa e l’impossibilità di esserla. É forte, molto forte lo slancio utopistico.

Chiedo scusa se parlo di Maria, non del senso di un discorso, quello che mi viene, non vorrei si trattasse di una cosa mia e nemmeno di un amore, non conviene.